Gia` da sposina Marianna Meschi sapeva cucinare meravigliosamente, e probabilmente divento` sempre piu` brava con l’andare del tempo perché` quando la conobbi per la prima volta, che avevo due anni, sapevo che il suo “riso cotto” era il migliore che avrei mai mangiato. Credo che fu quest’esperienza la prima a convincermi che Lucca e` il miglior posto al mondo. Oltre al risotto, era famosa per le sue crocchette, polpette, sugo, tordelli, tortellini, arrosti, saltimbocca, e senza dubbio, le sue patatine fritte con la salvia, per non parlare dei suoi dolci: torta verde coi becchi, torta di cioccolato, la lista non finisce qui….
Fortunatamente, la suocera di nonna Marianna era lieta di farle condurre la cucina, e suo marito, nonno Gino, fece installare una cucina professionale/ attrezzatissima quando ristrutturava la casa in via San Paolino. Purtroppo la ristrutturazione non avvenne solo per ragioni estetiche: poco dopo aver versato ogni soldo che possedeva per comprare l’immobile – 1,000 lire – scopri` che le travi erano state invase da tarli. Dovette sostituire quelle antiche con travi di ferro.
Il salotto della casa era sopra il negozio d’alimentari della famiglia. Mattonelle bianche coprivano le pareti della cucina dal pavimento al soffitto con l’eccezione di una striscia blu all’altezza di tre quarti della parete. La finestra in fondo dava su un cortile piccolo con un pozzo dal quale si servivono tutti i vicini di casa per i loro usi quotidiani. Mamma diceva che quand’era piccola, tutti i palazzi nel centro – anche quelli delle banche – avevano pozzi per l’acqua. Ma l’acqua da bere veniva dalle fontane che erano approvvigionate dagli acquedotti 800eschi di Lorenzo Nottolini.
La stufa di Nonna era modernissima in ferro inossidabile e smalto – non solo aveva i fornelli a gas, ma anche uno elettrico che serviva per cuocere a lungo quei piatti, come il brodo, che esigevano una temperatura costante. Inoltre, aveva una griglia in legno per la bistecca settimanale di nonno Gino. Il loro servizio di piatti in porcellana bianca riportavano la riga blu delle mattonelle, e le posate quotidiane in argento tedesco (una lega) erano eleganti ma pratiche – restavano splendenti anche senza manutenzione straordinaria.
Le pareti del tinello che dava sulla cucina, erano invece ricoperte di chintz in fiori su uno sfondo verde scuro. Mamma raccontava di come l’imbianchino impasto` le pareti con strati di giornale per impedire che trasmettessero umidità. Dopo tanti giorni tornò per applicare la stoffa che rifini` con una cornice di nastro. La tavola da pranzo era allungabile: da un quadrato diventava un rettangolo assai comodo per tutta la famiglia. Questo tavolo e` dove la zia Gina faceva i compiti e dove imparò la radice quadrata da suo padre (che aveva fatto solo la quinta, ma che sapeva capire il libro di matematica). Si possono ancora vedere i suoi appunti (e forse anche qualche lacrima) incisi nel legno soffice del pianale del tavolo.
Un grande focolare con la cappa completava la stanza e serviva a riscaldare tutta la casa.
Nonno Cecco si metteva lì davanti al focolare d’inverno a rumare la polenta in una pentola di rame appesa sopra il fuoco ed a scacciare via i bimbi – in particolare, Giuseppe, l’amico molto attivo di zio Carlo – che si avvicinavano troppo al fuoco.
Le pareti del salotto erano di color cioccolato. La sala aveva due attrazioni: un divano letto lungo abbastanza perché nonno Gino ci si potesse aggiaccare (stendere) per fare un pisolino di 10 minuti prima di tornare al lavoro, ed una radio ad onde corte con la quale sentivano tutte le notizie da tutte le parti del mondo, persino gli imam che chiamavano i seguaci alla preghiera. Durante la guerra, quando le radio non era permesse, lo zio Natale veniva di nascosto ogni sera a sentire la BBC o la Voce d’America.
La casa era costruita con livelli irregolari, uniti da una scala centrale illuminata da un lucernario. Si arrivava al piano desiderato salendo sette scalini e poi, se necessario, svoltando sul pianerottolo e salendone ancora quattro. Fare le scale più volte al giorno dava fastidio a nonna Marianna tanto che appena fu possibile, dopo che Mamma si sposò, andarano a stare in un appartamento, monolivello, fuori mura, a Sant’Anna.
La camera di nonno Cecco e nonna Betta era al piano sopra il salotto. Mamma ricorda nostalgicamente il loro bel letto stile impero con colonne in ebano alte due metri ed il loro comò dello stesso stile.
Poi c’era la camera più piccola di Giorgia Magi (e dopo dello zio Carlo). Giorgia era l’amica del cuore di Nonna Betta. Stava dopo Pontetetto (sulla strada per Vicopelago) dove aveva una bella fattoria e coltivava anche l’uva fragola (che non era buona per altro che per il vino novello). Anche se si lamentava che non le veniva l’uva per vino più buono, riusciva a produrre un vino novello ch’era ottimo per fare la zuppa di fragole a tutti (con il buccellato vecchio – naturalmente del Taddeucci).
Non si era mai sposata, ma tutti volevano bene a Giorgia che sapeva far divertire tutti, sempre. Diceva spesso che suoi genitori si aspettavano che morisse di vaiolo quand’era piccola, e che li aveva sentiti parlare della sua bara e di quale vestito le avrebbero messo… ma era sovravvissuta, ed aveva inventato la leggenda che doveva portare il fazzoletto in testa perché aveva perso tutti i capelli portando mattoni in testa per costruire la loro casa nuova. La casa in mattoni rossi c’e` ancora.
Baratto` con nonno Gino di prestargli le 100 lire che gli mancavano per comprare la proprietà in via San Paolino, se la faceva dormire in casa quando portava la sua frutta e verdura al mercato. Si misero d’accordo e lei portò il suo vecchio letto in castagno in casa Bedini – lo stesso letto che mio figlio Bonamico ha ancora oggi.
Al pianerottolo successivo c’era il bagno che, come in tante case antiche rifatte, sporgeva fuori dall’edificio sul cortile dietro. Ma c’era acqua per il bagno ed una toilette, comodità moderne che portavano gioia.
In cima all’altra scalinata c’erano la camera di nonna Marianna e nonno Gino, e poi una camera piccola che fecero disegnare per la zia Gina quando divenne maestra. Aveva mobili moderni in legno chiaro: una piccola scrivania, un letto e una libreria che erano l’invidia di tutti.
Infine, c’era un camera ancora mezzo piano più in alto, che mamma condivideva prima con la zia Gina e poi con la zia Laura. Il suo aspetto più memorabile: le lenzuola fredde e grezze. Mamma e la sua cara amica, Angela, dicevano che i grandi davano sempre lenzuole nuove di canapa ai piccoli perché ci voleva un bel po’ di tempo prima che diventassero morbide con l’uso. Anni dopo, Mamma pensava anche che forse l’olio di canapa nel tessuto tranquillizzava i bimbi cosicché non se ne lamentassero. Il momento più magico: quando mamma si dimentico` d’aver messo un bozzolo di baco da seta nel cassettino dello specchio sul suo comò, e quando lo apri` assai tempo dopo volo` fuori una farfalla…
Mamma credeva che il loro edificio fosse stato costruito come una torre nell’anno 1000 o prima. (Zia Gino trovo` persino un mortaio antichissimo in cantina.) Via San Paolino e` una delle vie romane originali del paese che portava al foro, dov’e` adesso la chiesa di San Michele. La strada si incrocia con via Fillungo, la via romana che originariamente portava fuoriporta all’anfiteatro (ora piazza dell’anfiteatro).
Il terrazzo sul tetto non veniva usato eccetto delle volte per asciugare i panni, ma ebbe un ruolo molto importante – salvando la vita di nonno Gino da tedeschi SS che lo rincorrevano – ma quello è un racconto per la prossima puntata…
- Editrice: Giulia Lippi